Repechage
Evoluzione giurisprudenziale
L’obbligo di repêchage consiste nell’onere per il datore di lavoro, prima di procedere al licenziamento, di vagliare tutte le possibilità di ricollocazione all’interno dell’azienda del lavoratore in esubero o divenuto inidoneo alle mansioni assegnategli.
Il c.d. repêchage è dunque connesso strettamente al giustificato motivo oggettivo di licenziamento, che, ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604/1966, consiste nel licenziamento dovuto a “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.
Infatti, nell’esercizio della propria attività di impresa, il datore di lavoro può decidere di sopprimere una posizione lavorativa, mosso da esigenze economiche o di riorganizzazione aziendale.
Da ultimo la Suprema Corte con ordinanza n. 1364 del 20 gennaio 2025 ha stabilito che l’obbligo di repêchage non impone al datore di lavoro di ricollocare il lavoratore in mansioni inferiori o incompatibili con il suo profilo professionale. La ricerca di mansioni alternative, pertanto, non deve estendersi a posizioni che non siano strettamente compatibili con la professionalità del lavoratore.
Con la suddetta ordinanza è stato, dunque, confermato che il datore di lavoro non è tenuto a creare nuove posizioni o a modificare l’organizzazione aziendale per conservare il posto al lavoratore, ma deve solo dimostrare l’assenza di posti liberi compatibili con la professionalità del dipendente.
La Suprema Corte ha anche sottolineato che il giudice non può imporre al datore di mantenere una posizione di lavoro inferiore, sostituendosi all’imprenditore nel compito di organizzazione aziendale.
Preme ricordare però che precedentemente e solo nel luglio 2024 il supremo Collegio si era espresso sul tema del repechage con la pronuncia n. 18904, che ha statuito che viola il repechage il datore che non tenta la ricollocazione anche in mansioni inferiori (non solo sotto il profilo del livello di inquadramento, ma anche della categoria di appartenenza) e perfino in posizioni temporanee per le quali è in essere un rapporto a tempo determinato.
“Il datore di lavoro non è tenuto a creare nuove posizioni o a modificare l’organizzazione aziendale per conservare il posto al lavoratore, ma deve dimostrare solo l’assenza di posti liberi compatibili con la professionalità del dipendente, non potendo il giudice, una volta emersa la prova della soppressione del posto, imporre al datore di mantenere una posizione di lavoro anche inferiore, poiché si sostituirebbe all’imprenditore nel compito di organizzazione aziendale che a lui compete”.
L’istituto ha subito varie modifiche interpretative e il consiglio, prima di procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è quello di analizzare attentamente ogni posizione aziendale, al fine di evitare facili impugnazioni. L’ufficio della scrivente nella persona del Dott. Alberto Virgili è a disposizione per l’assistenza necessaria.